Una storia italiana di grande coraggio e imprenditoria il Cotonificio Olcese nato nel 1904

Millenovecentoquattro. Una data come altre, per alcuni. Per altri – tanti – centodieci anni fa nasceva il cotonificio Olcese. Cinquantaduemila metri quadrati intorno cui s’è fatto largo un paese. Da un lato della strada una fabbrica enorme, profumata di storia e tradizione, dall’altra Piancogno, Val Camonica. Paralleli.

E vale la pena immergersi nella valle per perdersi tra quelle pareti segnate dal tempo, perché lì annusi l’artigianato italiano fattosi impresa. Perché quando intuisci che nel dopoguerra ci lavoravano fino a tre-quattro mila persone contemporaneamente, sai che calpesti un pezzo d’Italia a ogni passo. Non sono pochi neppure novantacinque operai, quelli impiegati oggi dall’azienda che ha fame di domani.

Tre proprietari, che c’hanno messo risorse e faccia, e la voglia di dimostrare quanto il made in Italypossa e debba pesare. Perché di ditte che lavorano il cotone così, un ordine alla volta, in una manciata di giorni e in quantitativi ridotti non ce n’è. Olcese resiste alla stretta della concorrenza puntando sull’eccellenza, quella che mira a cancellare la gestione precedente, che ha scelto di tornare alle origini. A quei centodieci anni di sapienza.

L’Intraprendente scrive e ha scritto dell’atto eroico di fare impresa in Italia. Lo ribadiamo. Circa 19 milioni l’anno di fatturato, un costo del lavoro impressionante. L’energia che pesa sui bilanci il 35% in più rispetto a quelli di un qualsiasi competitor europeo, pressione fiscale al 70 per cento. E il presidente Matteo Felli, voce della proprietà, te lo spiega perché non hanno scelto la delocalizzazione: «Perché l’impresa in Italia deve rimanere, il Paese deve ripartire, e se muoiono le aziende qui non resta più nulla».

E quando parli con Marco Calleri, amministratore delegato, trovi conferma che è nella cura del «dettaglio che fai la differenza. Cerchiamo di non sbagliare, in caso accadesse non scappiamo davanti al cliente ma diamo risposte precise. Una proprietà chiara, un know how che ci permette di guidare il cliente verso ciò di cui ha più bisogno, a volte costruendo con lui il prodotto».

Circa il 65% della merce rimane nei confini nazionali, il resto diretto, tra le altre mete, in Francia, Germania e paesi dell’Est. Olcese è in crescita. Dalle sue parti non c’è famiglia che direttamente o indirettamente non abbia “mangiato” grazie alla fabbrica. Il cotone non lavorato a presidiare l’esterno di un capannone che custodisce quelli già trattati con cinque componenti diverse. Ne derivano colori fatti a nuvole.

La selezione delle fibre è rigida, prima e dopo i passaggi che le ripuliscono dalle impurità. Attraversi stanze enormi, ogni macchina lavora su un singolo ordine, un cliente alla volta, per poi essere ripulita completamente, per ripartire da capo. Un livello di precisione e attenzione che costa fatica e manodopera. Passaggi minuziosi.Ventisei filatoi ad anello tradizionale, con864 fusi per ognuno. Tre filatoi compatti,per ottenere un prodotto più raffinato (senza pelo), adatto anche alla camiceria (Olcese ha già in attivo una partnership con Albini). Ventinove macchine lavorano su ventinove prodotti differenti. Niente a che vedere con i concorrenti stranieri (e no), che accettano solo ordini enormi, con pagamento anticipato, con risposte e consegna nettamente più lente e, soprattutto, con un livello qualitativo imparagonabile. «Stiamo espandendo il mercato, siamo artigiani fatti ad impresa. Lavoriamo e proponiamo il grande artigianato mettendoci al servizio del mercato». Felli racconta una verità, quella che tocchi con mano nel laboratorio in cui prendono forma nuove proposte, dove, più di altro, viene provata e assicurata la qualità dei filati pronti alla spedizione.

Il tessile è in crisi. Una delle ragioni è la macroeconomia. Il resto è figlio forse di una mentalità che non ha pagato. L’imprenditore che vuol governare ogni aspetto della fabbrica, le gelosie, l’incapacità di rinnovarsi. Olcese ha una proprietà nuova, solida, che ha lasciato la gestione a un ad, Marco Calleri. Ha chiari gli obiettivi, la cultura d’impresa, il rispetto per il prodotto e, soprattutto, mette al centro il cliente. Scontato? No. Chi avesse dubbi provi a fa un giro in quel paese-azienda, con la concretezza del Nord che vuol toccare il mestiere. Lì ce n’è, non è per nulla vecchio ed è datato 1904.

 

Articolo ripreso dal sito lintraprendente.it – autore: Federica Dato