Un nuovo mondo senza credito per le aziende italiane

Riprendiamo un bellissimo articolo di Fabio Bologini, autore di Linkerblog.biz, che analizza con grande ironia e disincanto la rettibile situazione in cui si trova un milione e piu’ di piccoli imprenditori. Senza che si veda via d’uscita.

Rispetto a 12 o 18 mesi fa la nebbia si sta diradando e la situazione del credito alle imprese si sta facendo via via più definita.  Finito il lungo periodo ‘negazionista’ durante il quale vari rappresentanti di banche si sono alternati a negare la loro volontà di riduzione del credito (spesso cercando di ribaltare il problema sulla mancanza di domanda da parte delle imprese), chiarito statistica dopo statistica, mese dopo mese che lo stock di credito erogato alle imprese italiane sta scendendo a colpi di miliardi siamo arrivati a una nuova linea di confronto.

Sulla nuova linea le banche si sono attestate per sostenere sostanzialmente tre concetti:

1) non è colpa nostra se le autorità di vigilanza ci costringono a usare così tanto capitale a fronte dei crediti alla clientela; non è neppure colpa nostra se abbiamo così tante sofferenze e se l’Italia è penalizzata nei criteri di classificazione delle sofferenze;

2) non possiamo continuare a finanziare piccole imprese così prive di capitale e rischiose, perché o non sono ‘sane’ o ci assorbono troppo capitale al punto di bruciare ogni guadagno (margine);

3) non c’è soluzione interna al sistema bancario. Per finanziare le imprese italiane occorre fare affidamento su due misure alternative, la prima è l’affrancamento dal ‘sistema bancocentrico‘ spingendo le imprese a procurarsi finanza sul mercato dei bond, la seconda è un intervento da parte di entità esterne (lo Stato, i Confidi) su cui riversare buona parte del rischio che ci assumeremmo verso imprese (sottocapitalizzate e rischiose) con un sistema di garanzie suppletive, possibilmente a prima richiesta.

Premesso che c’è del vero in tutte le tre affermazioni, messe insieme sembrano più una dichiarazione di resa che un manifesto per la ri-crescita come si auspica in tante altre sedi. Più o meno è quanto traspare da numerose occasioni pubbliche in cui si misura la febbre al rapporto di credito tra banche e imprese. Una prova -e ne arriveranno molte altre- è fornita anche in questo articolo di ieri del Sole che narra di un incontro in casa di una banca (la BPM) nel quale per una sessione pubblica si è discusso apertamente del problema del credito alle PMI. Leggete questi paragrafi tratti dall’articolo di Manuela Vento:

Il confronto tra i dipendenti della divisione corporate si è svolto in una due giorni a porte chiuse, ma ha avuto anche un momento di discussione “aperta” con una tavola rotonda a cui hanno partecipato studiosi, imprenditori, manager e consulenti: l’amministratore delegato di Coccodì (il leader italiano nella produzione di uova) Giampietro Seghezzi, il Ceo del gruppo Duferco (trading di acciaio) Antonio Gozzi, il numero uno del Fondo Ambienta Sgr Nino Tronchetti Provera, l’ad di Bain & Company Italy Giovanni Cagnoli e il prorettore per l’internazionalizzazione dell’Università Bocconi di Milano Stefano Caselli.

Dalla discussione è emerso che ricette uniche per riavviare il credito non esistono, che per l’Italia è fondamentale il ritorno alla crescita e che il nodo principale che frena la concessione del credito resta la scarsa patrimonializzazione delle piccole e medie imprese.

Per sbloccare il mercato, comunque, sarebbe importante procedere su tre direttrici:
-le banche dovrebbero fare di più per la patrimonializzazione aiutando le imprese ad aumentare il capitale e a ridurre il livello di indebitamento;
gli imprenditori dovrebbero concentrarsi subito sul modo migliore per rafforzare il capitale (anche con il ricorso al private equity);
-la creazione di una civiltà del credito con un dialogo costante e costruttivo tra tutte le parti coinvolte nella catena del credito: associazioni di imprese, banche, Stato.

Ecco, è tutto racchiuso qui. La ricetta per uscire dal credit-crunch non c’è e se c’è passa per… il capitale delle imprese. Ovvio, no? Sono le imprese a non avere abbastanza capitale, non le banche che stanno facendo aumenti di capitale in serie così per divertimento.

In questo blog non si è mai fatto mistero della presenza diffusa nelle imprese di rapporti aberranti tra capitale e patrimonio (gonfiato da rivalutazioni immobiliari) da un lato e massa di debiti bancari dall’altro con valore tipo 1:10 o peggio, ma è stato anche detto che questa situazione è andata bene alle banche per molti, moltissimi anni, anzi è stata incentivata dalle stesse banche. Perché il debito è stato concesso alle imprese, non è stato mai rubato, e quando è stato concesso il capitale non c’era. Quindi vogliamo dividere le colpe equamente?

E adesso le banche dovrebbero aiutare le imprese ad aumentare il capitale e ridurre il livello di debito. Posso avere qualche perplessità su cosa possano fare le banche per aiutare le imprese su questo fronte, escludendo il solito invito (inutile) a quotarsi in Borsa? Forse riducendo i costi (i tassi) un pochino di autofinanziamento in più ci scapperebbe, che ne dite?  Quanto a ridurre il livello di debito siamo al grottesco, prima di tutto perché il debito si riduce solo con profitti e cashflow, che oggi scarseggiano (vi hanno informato della crisi?) e poi teniamo presente che se una banca riduce il debito dei propri clienti sta riducendo i propri margini e profitti. E si è visto sui bilanci 2012 e sulle trimestrali.  Avete mai sentito un ristoratore che consiglia ai suoi clienti di mangiare meno?  E’ troppo difficile dire che le imprese non sono tutte uguali, alcune hanno sicuramente troppo debito (e non riescono a rimborsarlo) altre sono in perfetta forma e queste ultime potranno avere credito.

E voi imprenditori, forza concentratevi per rafforzare il vostro capitale! Come mai non l’avete ancora fatto? I fondi di private equity vi stanno aspettando, forse 30 o 40 fortunati di voi riusciranno a vincere il biglietto della lotteria. Il restante milione di imprenditori continui a concentrarsi.

E da ultimo, come avevo fatto a non pensarci prima… la civiltà del credito, la nuova frontiera dell’araba fenice -la partnership tra banche e imprese-. Un bel dialogo costante e costruttivo e passa tutto. ma voi, piccoli imprenditori, ricordatevi di segnare ogni mese sull’agenda o sullo smartphone che dovete andare in banca a fare un’ora di dialogo costruttivo, perché se ve lo dimenticate il vostro bancario non se ne ricorderà, non tanto perché sia cattivo ma perché ha tante, troppe altre cose da fare. Poi tra qualche mese scrivetemi e ditemi se il credito è spuntato dal dialogo.

Non è mica finita, ci sono altre idee:

Le banche, infine, ritengono che la sicurezza maggiore per ottenere credito dipenda molto dall’apertura internazionale delle imprese. Le imprese sul mercato internazionale sono strutturate meglio perché non dipendono dal mercato italiano che invece è “morto” sotto il profilo dei consumi; e sarà di vitale importanza lavorare con le aziende che fanno sviluppo e crescono fuori dal continente europeo.

Ecco, tutti voi imprenditori ‘domestici’ siete un po’ sfigatelli, cosa fate ancora in Italia? Non vi siete ancora accorti che il mercato italiano è morto?  Siete solo 800.000 o forse più di un milione a non  esservene accorti, quindi non sentitevi soli, ma fate qualcosa perbacco!

Se questa è la prospettiva, direi di lasciare perdere. Con equity o senza le PMI devono davvero imparare sin da oggi a vivere con molto meno credito bancario. Gli farà bene (e farà male al conto economico delle banche). Ma almeno all’inizio sarà come scendere all’inferno.