I prestiti payday l’ultima trovata delle banche americane a quando in Italia?

Li chiamano “prestiti payday”, ma assomigliano molto a una forma di strozzinaggio legalizzato. Niente sicari, minacce fisiche, boss o malavita. Si fa tutto via internet. Negli Stati Uniti esistono società di credito che concedono prestiti online con una facilità davvero sorprendente, senza perdere troppo tempo in fastidiose domande. Hai bisogno di denaro? Ecco a te, è semplicissimo. Peccato che tanta munificenza non sia affatto gratis: i tassi d’interesse arrivano a superare il 500% e – per chi non è in grado di restituire il malloppo entro un anno – possono toccare perfino la vetta spaventosa del 16mila%. Naturalmente, operazioni di questo tipo non possono che avvenire con la complicità delle banche.

E’ evidente che, a mente lucida e in condizioni normali, nessuno si sottoporrebbe a un trattamento del genere. Ma in tempi di crisi la razionalità passa in secondo piano e i giganti della finanza fanno affari d’oro picchiando sulle ferite dei più deboli. Persone magari in difficoltà, che non resistono alla tentazione di un credito così accessibile. Secondo uno studio del centro no profit Pew Charitable Trusts, solo nel 2010 circa tre milioni di americani hanno ottenuto un prestito “payday” e fra 2006 e 2011 l’ammontare complessivo di queste operazioni è salito da 5,8 a 13 miliardi di dollari.

Ma qual è il ruolo delle banche? Come sempre, gli istituti delle dimensioni di Bank of America e JP Morgan recitano una parte decisiva, consentendo alle società creditrici di prelevare automaticamente i ricchi interessi dai conti correnti dei loro creditori. Un via libera che viene concesso sempre e comunque: anche negli Stati Usa dove i prestiti “payday”sono vietati per legge e perfino se i clienti stessi chiedono esplicitamente di non permettere alcun prelievo.

Lo fanno perché traggono profitto dai guai dei propri correntisti. Spesso chi ha avuto la sventura di entrare nella spirale dei “payday” si ritrova il conto azzerato dagli interessi siderali succhiati dall’esterno. Nel 27% dei casi (sempre secondo i dati Pew Charitable Trusts) finisce addirittura in rosso ed è costretto a pagare multe salate alla propria banca.

Ma chi riesce a non farsi prosciugare i risparmi deve tenere comunque la guardia alta, perché uscire dal vortice non è affatto semplice come può sembrare. Per restituire il prestito bisogna avvisare la società di credito con almeno tre giorni d’anticipo, altrimenti gli interessi saranno prelevati come nulla fosse e il credito verrà rinnovato per almeno un altro mese.

Queste aziende sanno benissimo di praticare un’attività illegale in 15 dei 50 Stati americani, perciò si stanno spostando all’estero, in Paesi dove le maglie della legge sono meno strette. Una scelta che non porterà loro alcuna perdita, dato che attraverso internet saranno comunque in grado di raggiungere tutti i clienti americani.

Ma cosa sta facendo il governo federale per contrastare tutto questo? Nonostante la pratica dei prestiti “payday” vada avanti da anni, solo di recente le autorità Usa hanno preso di mira le banche coinvolte. Sul ruolo degli istituti di credito nello “strozzinaggio telematico” hanno iniziato a indagare due agenzie di controllo: la Federal Deposit Insurance Corporation e il Consumer Financial Protection Bureau. Nello Stato di New York, dove per legge i tassi non potrebbero superare il 25%, il numero uno del dipartimento dei Servizi finanziari, Benjamin Lawsky, sta portando avanti un’inchiesta.

Non sembra invece avere dubbi un certo Josh Zinner, direttore dell’organizzazione Neighborhood Economic Development Advocacy Project: “Senza la collaborazione delle banche nell’effettuare le transazioni – ha detto al New York Times – queste società non potrebbero fare quello che fanno”.

A questo punto rimane soltanto da aspettare il corso della giustizia americana. E non sarà affatto un’attesa breve, almeno a giudicare dalla timidezza con cui l’amministrazione Obama sta ancora perseguendo le banche di Wall Street per il vero peccato originale dell’intera crisi finanziaria. I cari vecchi mutui subprime.
Fonte: altrenotizie.org