I nuovi imprenditori non sono italiani

«Le aziende fondate da stranieri immigrati sono le sole che vanno avanti, crescendo e dando occupazione in Italia». «Mi rendo conto che è un’affermazione forte, ma è quanto emerge dal nostro recente convegno», dice a ICT4Executive Dario Perini, presidente di Aspim Europa (Associazione Servizi Piccole e medie Imprese) che il 25 gennaio ha organizzato a Torino il primo convegno nazionale “Fare impresa per gli stranieri in Italia”.

Sono stati presentati i dati di Unioncamere, secondo cui le aziende di immigrati residenti in Italia sono 450 mila e sono salite del 5,7 per cento (a fronte di un calo di quelle di italiani). Adesso sono il 7,4 per cento del totale e danno lavoro a 3 milioni di italiani.

Ci sono casi straordinari. Come Ferrara, dove sono 4 mila i posti di lavoro sorti grazie a imprenditori stranieri, che guidano 2.243 imprese. E al convegno è stato ricordato l’esempio del rumeno Florin Simon che nel 2012 si è aggiudicato il MoneyGram Award, il celebre premio all’imprenditoria immigrata in Italia.

Ha un’azienda di ingrosso che tratta la compravendita di prodotti tipici romeni. Simon ha 42 anni e ha cominciato come manovale nel settore edilizio fino a decidere poi di fare impresa e aprire un attività  a servizio dei connazionali.

Milano e Roma hanno la quota maggiore di immigrati imprenditori, com’è ovvio. Province con circa mille imprenditori immigrati sono Bologna, Verona, Brescia, Treviso, Prato, Caserta, Reggio Emilia, Modena, Vicenza, Catanzaro e Parma.

Con più di 500 imprenditori troviamo Varese, Padova, Cuneo, Ravenna, Venezia, Catania e Mantova. Le regioni che, con la Lombardia e il Lazio, si caratterizzano per un alto numero di imprenditori immigrati sono l’Emilia Romagna, il Piemonte e il Veneto.

I dati raccontano che gli immigrati si occupano soprattutto di ristorazione, costruzione e impiantistica. I nordafricani sono maggiormente presenti nel settore della ristorazione, i cinesi nelle attività commerciali, i bengalesi e i pakistani nell’ambulantato e nelle piccole attività commerciali.

Al momento non c’è un fenomeno rilevante di immigrati che fonda aziende innovative in Italia. «Ma vedo che alcuni, soprattutto gli indiani, tendono a usare di più l’IT nelle proprie aziende rispetto alla media di quelle italiane», dice Perini. «E questo certo può spingere le nostre a essere più competitive, a sposare di più le nuove tecnologie».

Ma ancora i segnali in tal senso sono deboli. Del resto al momento è molto più probabile che un italiano fondi una startup innovativa all’estero, piuttosto che viceversa. La causa è il nostro sistema burocratico e di accesso al credito. Secondo una recente relazione Aspim, “le pratiche amministrative, già di per sé onerose, agli immigrati risultano più ostiche non solo perché meno conosciute ma spesso anche perché regolate da normative più complesse”. “Il sistema bancario italiano risulta meno accessibile perché chiede garanzie che gli immigrati possono fornire con maggiori difficoltà, come ad esempio per quanto riguarda l’esibizione della busta paga, la rilevanza delle mansioni ricoperte, il contratto di affitto e la garanzia del soggiorno”.

Non così negli Stati Uniti, dove il 24,3 per cento delle startup tecnologiche è fondata da immigrati, secondo la ricerca America’s New Immigrant Entrepeneurs: Then and Now, pubblicata a fine 2012. La quota cresce al 43,9 per cento in California. In Italia la situazione potrebbe migliorare- almeno per gli immigrati che sono cittadini europei- grazie al decreto Crescita 2.0, che semplifica la burocrazia per tutte le fasi della vita della startup. Si attende però un decreto attuativo per dare il via agli incentivi fiscali previsti dal Crescita 2.0.

Altre idee vengono dai Giovani Imprenditori di Confindustria, che hanno presentato sei proposte per sostenere le migliori aziende di immigrati: cambiare il sistema delle quote d’ingresso, puntare sull’immigrazione di qualità, attrarre in Italia i talenti del resto del mondo, incentivare la legalità degli immigrati per aumentare la sicurezza, semplificare le procedure per i permessi di soggiorno e l’apertura di nuove imprese, definire una strategia europea per gestire i flussi migratori come leva per lo sviluppo.

 

Articolo ripreso da ict4executive.it