Ludopatia bancaria il grande rischio per la economia

Il rapporto Liikanen, redatto da una commissione indipendente di esperti incaricata dalla Commissione Europea ha evidenziato tra i problemi principali del sistema bancario-finanziario quelli della commistione tra banca d’affari e banca commerciale che portano alla ludopatia bancaria.

La letteratura empirica economica sottolinea che, anche dal punto di vista dei guadagni di efficienza, la dimensione di una banca non dovrebbe secondo il rapporto Liikanen superare i 20 miliardi di attivo di assets. In assenza di un’efficace attività di antitrust esistono in realtà oggi banche che hanno superato di molto quella soglia e raggiunto dimensioni tali da destare serie preoccupazioni per la stabilità del sistema.

E’ uso comune definire tali banche “troppo grandi per fallire” o “troppo complesse per essere regolate o per essere salvate”. I rischi per l’intero sistema in caso di loro fallimento sono dunque altissimi. Il rapporto Liikanen illustra chiaramente che in molti casi esse sono più grandi (sempre in termini di totale dell’attivo) del PIl dei paesi di origine (è il caso del Banco Santander in Spagna, della Barcklays e della Royal Bank of Scotland nel Regno Unito, di ING in Olanda) e questo è di per sé un problema per i regolatori che rischiano seriamente di essere “catturati” da regolati così grandi.

I dati recenti ci dicono che queste banche sistemiche o troppo grandi per fallire, massimizzando il profitto (che noi chiamiamo ludopatia bancaria) e dedicandosi, in gran parte anche ad attività puramente speculative, hanno investito una quota molto inferiore del proprio attivo in prestiti alla clientela rispetto alle banche etiche o cooperative. La massimizzazione del profitto e la ricerca di guadagni a breve speculativi riduce infatti gli incentivi ad effettuare un’attività (quella del credito tradizionale a cittadini e imprese) che ormai ha rendimenti piuttosto contenuti e costi elevati.

ludopatia bancaria
la Ludopatia Bancaria non si e’ ancora risolta dopo la crisi del 2009

Uno dei problemi maggiori legati alla dimensione di queste banche è la commistione dell’attività di intermediazione creditizia tradizionale con quella delle banche d’affari e del trading speculativo. Il problema, come sottolinea l’autorevole rapporto Vickers, è che queste grandi conglomerate hanno una parte tradizionale, relativamente stabile e meno rischiosa che si occupa di concessione di crediti mentre quella dedita al trading speculativo è fortemente instabile e più rischiosa e può far fallire l’intero conglomerato.

Poiché l’attività di trading è finanziata in realtà con fondi diretti ad attività a basso rischio e a basso rendimento (i depositi bancari), attività che in virtù del basso rischio sono remunerate poco dalla banca, il trading speculativo gode di un sussidio implicito. Se infatti fosse scorporato dall’attività commerciale e chiedesse fondi sul mercato per quella specifica attività sarebbe costretto a remunerarli a tasso molto più elevato. Ecco la ludopatia bancaria al suo meglio.

Con un rapporto tra capitale preso a debito e capitale proprio che arriva e può superare il rapporto di 30 a 1 perdite sul trading pari al 3 percento di tutto il patrimonio possono far fallire la banca. Il problema è che, in caso di fallimento, il conglomerato può chiedere e facilmente ottenere da parte delle autorità di vigilanza il salvataggio a spese dei contribuenti adducendo il fatto che dal suo fallimento verrebbero travolti i depositanti della banca.

I depositanti della banca che mischia attività tradizionale con trading speculativo diventano dunque gli ostaggi che obbligano le autorità al salvataggio. Sapendo ciò la conglomerata sarà ancora meno restia a limitare il rischio delle proprie operazioni speculative confidando sul fatto di un salvataggio che comunque avverrà per proteggere i depositanti (questo problema viene definito azzardo morale).

La commistione tra banca d’affari e banca commerciale finisce inoltre per aumentare le inefficienze del sistema bancario-finanziario che può essere immaginato come un grande acquedotto pieno di perdite e di buchi nel quale una parte molto consistente dell’acqua pompata non arriva ai beneficiari finali (i cittadini e le imprese).

Se infatti le banche centrali si propongono di stimolare il credito all’economia rifinanziando le banche, effettuando tale operazione verso le conglomerate che contengono la parte commerciale e quella speculativa, finiscono per disperdere gran parte delle risorse verso quest’ultima direzione.

Un modo per risolvere il problema della ludopatia bancaria, come proposto dai rapporti Vickers e Liikanen, è quello di separare le due attività. I cittadini che mettono i propri risparmi in depositi bancari non devono rischiare che tali risparmi evaporino per via di attività di trading in proprio delle banche conglomerate. Quello che come campagna 005 proponiano dunque è separazione tra banca commerciale e banca d’affari (nota come Volcker rule perché proposta per la prima volta dall’ex governatore della Federal Reserve), o il divieto di trading proprietario (ovvero in proprio, non su ordine del cliente) da parte di una banca.

Va rilevato che alcune recenti riforme dei mercati finanziari e della vigilanza europea vorrebbero rispondere parzialmente a questo problema. Se le banche sono troppo grandi per falli due sono le strade per affrontare il problema: ridurre la dimensione delle banche con un’operazione di antitrust oppure aumentare la dimensione del regolatore.

La vigilanza europea trasformerebbe le banche troppo grandi per fallire, se consideriamo la dimensione di un singolo stato, in banche meno grandi se rapportate alla dimensione dell’Unione Europea. Perché questo funzioni però la vigilanza europea deve diventare effettiva. Inoltre il problema non è solo se le autorità saranno in grado o no di salvare la banca.

Una maggiore capacità di intervento e di assorbimento non riduce il costo dell’intervento anche se lo rende praticabile. La possibilità di realizzare salvataggi di successo non elimina affatto inoltre tutte le distorsioni sopra descritte che la commistione tra banca d’affari e banca commerciale genera.

Una seconda soluzione arriverebbe dalla riforma delle regole sui salvataggi bancari. Nelle nuove regole varate dall’UE si stabilisce la possibilità di un intervento europeo di salvataggio sotto condizioni molto restrittive e si definisce una graduatoria di rischio. In caso di fallimento i primi a pagare sono gli azionisti della banca che perdono tutto il loro capitale, poi gli obbligazionisti e infine, con una novità, anche i possessori di depositi al di sopra dei 100.000 euro se la somma delle risorse di azionisti ed obbligazionisti non arriva alla soglia dell’8% del capitale perduto. Dopo la soglia dell’8% interverrebbe l’Unione Europea.

E’ evidente che queste soluzioni non risolvono il problema di fondo. Ovvero il rischio che, spesso inconsapevolmente, chi mette i risparmi nei depositi bancari di una banca che fa trading proprietario corre di perdere tutti i propri soldi senza peraltro partecipare agli utili derivanti dall’attività di trading. In altri termini le banche conglomerate giocano d’azzardo con i soldi (e spesso all’insaputa) dei depositanti che partecipano alle perdite ma non agli utili della loro attività speculativa.

La riforma delle regole di salvataggio bancario europeo non risolve nulla anzi peggiora la situazione dei depositanti. Se prima a rimetterci erano tutti i contribuenti che risarcivano i depositanti nei salvataggi adesso i depositanti, per la prima volta, partecipano ufficialmente al rischio dell’”impresa speculativa” non avendo alcun diritto ai suoi proventi.

E’ evidente che l’unica soluzione seria a questo problema è rompere il cordone ombelicale tra depositi dei clienti e risorse che gli intermediari finanziari utilizzano per fare trading proprietario. Il risparmiatore che accede ai mercati deve vedere ben chiare e distinte le insegne di due diversi negozi. Sul primo c’è scritto “banca commerciale”. Mettendovi i propri soldi il risparmiatore sa di rischiare relativamente poco e di avere in cambio un rendimento moderato.

Sul secondo c’è scritto “hedge fund” è il risparmiatore che legge il cartello sa di partecipare (non solo alle perdite ma anche agli utili) ad un’impresa ad alto rischio.
Il secondo motivo fondamentale per chiedere la Volcker rule è che essa aumenta la “biodiversità” e la resilienza dei sistemi finanziari.

Esiste ormai una vasta letteratura ed è convinzione delle autorità di regolamentazione che i sistemi finanziari, proprio come gli ecosistemi, sono più resilienti quanto più abitati da operatori con caratteristiche diverse (banche d’affari, banche commerciali, banche cooperative o rurali, banche etiche). Le banche troppo grandi per fallire che uniscono banca d’investimento e banca commerciale violano questo principio fondamentale con gravi rischi per il sistema. In caso di separazione infatti, se la banca d’investimento fallisce per la sua attività di trading speculativo, può essere lasciata fallire senza comportare rischi per i contribuenti e senza trascinare nel fallimento anche la banca commerciale e i suoi prestiti alla clientela (così come accaduto ad esempio per il Long Term Capital Management fund negli Stati Uniti nel 1998).

E’ evidente che, agli occhi di chi ha esperienza del bilancio e delle attività di una banca, il problema della separazione tra banca commerciale e banca d’affari (o del divieto di trading proprietario) non è così semplice da risolvere. Ogni banca deve tenere una parte delle proprie risorse (depositi più capitale proprio) liquida e non investita in prestiti per far fronte al rischio di liquidità. Questa quota liquida deve essere necessariamente investita. La Volcker rule consiste dunque nel fissare un’asticella rigida che separa le forme di investimento consentite e considerate non speculative delle passività che le banche vuole mantenere liquide da quelle non consentite e considerate speculative.

Molti stati nazionali dopo la crisi hanno ritenuto valide queste argomentazioni per la separazione e presentato proposte per realizzarla. Tali proposte si fondano quasi tutte sulla definizione di una soglia di attività destinate al trading che la conglomerata non deve superare (ad esempio 20 percento). Si tratta anche in questo caso di una soluzione largamente insufficiente.

Anche se la soglia riduce la componente di attivo che la banca mette a rischio nell’attività speculativa i livelli di leva abnormi oggi presenti sui mercati rendono comunque l’attività di trading rischiosa. Anche con un 20 percento di attivo “a rischio” , in presenza di una leva di 33 basta una perdita del 14-15% sul portafoglio investito in attività di trading per determinare la perdita dell’intero capitale proprio da parte della banca.

In virtù di queste considerazioni ribadiamo dunque l’assoluta urgenza di separare banca commerciale e banca d’affari considerando questo un tassello decisivo della riforma dei mercati finanziari per mettere gli stessi maggiormente al servizio della persona e dell’economia reale.
Volcker rule e divieto di trading proprietario dunque per porre fine alla ludopatia bancaria realizzata a scrocco dei depositanti, dei contribuenti (e delle risorse investite dalla Banca Centrale per la ripresa del credito e dell’economia).

Fonte: blog Leonardo Becchetti