La Grecia e’ fallita

Strictly confidential è scritto su ogni pagina. E ce ne sono tutte le ragioni. Il quadro che emerge dalla Dsa (Debt sustainability analysis) sulla Grecia non è roseo. Certo, l’Eurogruppo ha accordato il pagamento della sesta tranche (8 miliardi di euro) di aiuti finanziari previsti dal piano di salvataggio del maggio 2010, pari a 110 miliardi di euro, ma appare sempre più chiaro che lo ha fatto assumendosi diverse responsabilità. Questo perché la troika ha spiegato senza troppi giri di parole che il debito greco è insostenibile.

L’unica soluzione all’orizzonte è quindi quella di un aumento dell’intervento dei creditori privati, tramite il Private sector involvement (Psi), e, di conseguenza, un lungo piano di ristrutturazione del debito. Il ritorno sui mercati è atteso nel 2021, quando il rapporto debito pubblico/Prodotto interno lordo (Pil) tornerà sotto quota 150 per cento. Fino a quella data, secondo il rapporto della troika, saranno necessari 252 miliardi di euro per garantire la sopravvivenza di Atene, nel migliore dei casi. Nel peggiore, altri 444 miliardi di euro, più dell’attuale valore del fondo europeo salva-Stati European financial stability facility (Efsf).

In altre parole, considerando l’intervento del maggio 2010, l’intero debito ellenico, 365 miliardi di euro, dovrà essere messo in sicurezza da qui al 2030. Dopo diverse settimane di attesa, la troika ha concluso la sua ultima verifica ad Atene. Nonostante le rassicurazioni del ministro delle Finanze ellenico Evangelos Venizelos, che ancora cinque giorni fa parlava di «sensazioni positive riguardo alla troika», il rapporto finale lascia senza fiato.

Semplicemente, niente va come dovrebbe andare. Il debito pubblico, attualmente al 160% del Pil, toccherà quota 186% nel 2013 e solo nel finale del 2020 scenderà sotto il 152%, soglia considerata cruciale per il rientro di Atene sui mercati internazionali. Ancora, solo nel 2030 il rapporto debito/Pil sarà sotto il 130 per cento. Chiaramente insostenibile, sebbene lo stesso Venizelos abbia più volte rimarcato che «il Paese è su una buona strada». C’è poi il capitolo privatizzazioni. Sui circa 46 miliardi di euro che dovevano essere raccolti da luglio a oggi, solo 10 sono entrati nelle casse del Tesoro di Atene. E pensare che inizialmente il programma del 21 luglio, completamente smontato dalla troika, aveva previsto ricavi per 66 miliardi di euro (50 miliardi di asset governativi più 16 miliardi di asset derivanti dalle ricapitalizzazioni bancarie). Niente di tutto questo è stato rispettato, finora, né riuscirà a essere raggiunto, spiega la troika, senza un programma di consolidamento fiscale più duro che mai.

Infine, la ristrutturazione del debito. L’accordo del Consiglio europeo del 21 luglio scorso prevedeva un haircut, cioè un taglio al valore nominale dei bond detenuti in portafoglio, del 21 per cento. L’accordo, sottoscritto dall’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria internazionale, fin da subito è apparso troppo blando per ristorare il debito greco. Dei 365 miliardi di euro di stock complessivo, solo 135 erano impegnati nel rollover, cioè il concambio peggiorativo, con un impegno da parte delle banche creditrici di circa 37 miliardi. Troppo poco. La troika propone due soluzioni: o un taglio del 50%, capace di riportare il debito sotto quota 120% nel finale del 2020, o un haircut del 60%, che porterebbe il debito sotto il 110% nel 2020. In entrambi i casi, ci sarebbero dei costi per la comunità internazionale. Tralasciando quelli sociali e quelli creditizi a carico delle banche esposte sulla Grecia, per Atene il supporto finanziario dovrebbe essere di 113,5 miliardi di euro per il ventennio 2011-2030 nel caso di un haircut del 50% e di 109,3 miliardi in caso di taglio del 60 per cento. Qualsiasi scelta si prenda nel prossimo vertice europeo, ci sono due certezze: la Grecia è fallita e il suo default non sarà indolore.

Testo ripreso da linkiesta.it